Cosa ne penso, amico mio, e con chi sto, con parole mie?

Cosa ne penso, amico mio, e con chi sto, con parole mie?

Penso che non sono sicuro che le parole, quando penso, siano mie; che, quando le libero, non sono più mie ma diventano di tutti e che quindi devono essere accurate, precise, pesate; che sono puttane nelle bocche di puttanieri e fiori nelle bocche di santi e che le stesse possono avere ancora altri cento significati in altre cento bocche; che se non sto attento, le parole possono fuggire, perdersi, ribellarsi, attaccarmi, mordermi, distruggermi; che se le uso troppo perdono il loro significato. Che altre, brutte, cattive, ignobili, che pensavo bandite e dimenticate, oggi, ora, vengono ripetute fino alla nausea come un mantra liberatorio davanti a bambini; che c’è bisogno di evocare e augurare la morte per sentirsi ripagati per la miseria della propria vita; che il linguaggio struttura il pensiero e che il linguaggio si è impoverito e radicalizzato. Che balordo vuol dire balordo. Che fesso vuol dire fesso. Che le parole servono a unire non a dividere. Che l’Europa non è un Lunapark per distrarre le masse. Che la guerra è l’ultima parola. Che io sto con tutti quelli che vogliono salvaguardare la Storia e salvare la pittura, la musica e la letteratura dallo sfascio. Sto con chi ha il dono della sintesi, non della semplificazione. Sto con chi ha ancora parole sue.

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