La vita degli altri

Odio la gente. La odio troppo per essere qualcuno. Ma ecco che appena dico questo mi metto a invidiarla, la gente. Appena raggiungo la vetta mi sento un intruso, un impostore. Soli non si è mai nessuno. E nemmeno si è tutto. Mica sei Dio, dico.
Mi piacerebbe avere una vita su misura, una che non ti senti addosso, come una tuta da supereroe: aderente, elastica, scintillante, che magicamente ti fa diventare te. Ma non la trovo, quella che fa per me.
Nel frattempo, prendo quella degli altri. Non nel senso che li uccido, oh no. Ne ucciderei tanti ogni giorno. No. Ma mica prendo il loro posto, chiaro. La prendo in prestito soltanto. Immagino cioè di ritrovarmi al loro posto, ecco. Così, per passare il tempo, per dimenticare un po’.
Perché io sono troppo calmo. Sono troppo calmo per avere una vita. Me lo ha detto un amico tempo fa: la tua calma è la tua follia, ha detto. All’improvviso ha alzato la testa, mi ha guardato negli occhi e ha detto così. Mi ha lasciato di stucco. Ma cosa voleva dire esattamente? Che cammino con la camicia di forza?
E allora vado al cinema. Ma non in quel locale buio dove proiettano i film, no, che in quella sala buia zeppa di persone mi sale subito il sudore freddo e la voglia di saltare addosso al primo che bisbiglia. No.
Vedi quell’uomo laggiù? Lo vedi? A volte guardo una persona e mi prende come un’invidia e vorrei essere nei suoi panni, scoprire chi è, o meglio: scoprire com’è essere lui, cosa fa, come mangia, dove dorme, con chi. Per un’ora o due, magari un giorno, prendere il suo corpo in prestito e magari anche le sue sensazioni, quando abbraccia i figli, la moglie o quando si siede in macchina e sfreccia sull’autostrada; avere dei pensieri semplici, autentici, di vita vera, e un passato tranquillo, normale cioè, qualche cazzata lungo il percorso e dei ricordi, non le immagini sconnesse che mi incasinano la mente, ma dei ricordi veri, che ti fanno venire la nostalgia, niente di ché, insomma, voglio sentire come si fa, come ci si sente, cosa si prova a non fare finta, a lasciarsi andare. Tutto qua.
Sembra tutto così facile per lui, è tranquillo, lo vedi, e magari se non lo è non ne fa una malattia. Sembra pure uno che ha successo e se non ne ha è lo stesso, non gliene frega niente, lo stesso, sta bene così com’è, tutto fila liscio, lui è dentro, capisci, dentro, non fuori, come me. Ci sta lui, come un pesce nell’acqua, ora, in questo momento, in questa vita. Poi non lo so, può darsi che non sia così. Può darsi che sia nella merda fino al collo, che abbia perso il padre, la madre, il lavoro, la casa, che la moglie l’abbia lasciato portandosi i figli, che quel che ha addosso sia tutto quello che gli resta, ma lo stesso, lo vedi, è tranquillo quello, gli sta bene così cazzo. Che se anche sta male, c’è per il suo male.
Ma dopo un po’ mi dico che quella non è la tua vita: anche tu hai una casa, una moglie, un lavoro, un passato, anche se a volte ti sembra di non riconoscere niente e nessuno, di vivere in un albergo, con un’estranea, di fare le cose senza sapere bene perché le devi fare, di vedere tutto da lontano, come in un film.
È come se tutto fosse più reale e avesse più senso quando non ci sono, io. Ad esempio, penso a mia moglie quando non c’è, dio se ci penso, mi manca e tutto il resto ma appena torna non ci sono più io, mi rintano, per non rovinare tutto.
Mi trascino per casa, tocco le cose in giro ma non le conosco, non le sento. Poi mi concentro e penso a una vita reale, che possa essere compresa, nella quale un essere umano possa essere in grado di vivere. E allora torno in me, nel mio casino, e ci provo di nuovo a sistemare le cose, a mettere un po’ d’ordine, a stare buono, per davvero, e sto al gioco, per un po’.
È che ho troppo dentro, io, troppa roba che mi frulla per la mente, troppe cose da tenere a bada, sempre, giorno e notte, che se mi lascio andare finisce male… E quindi ogni tanto scappo, apro la finestra e via. Mi siedo da qualche parte, guardo i passanti. Ne vedo uno che mi ispira e lo seguo per un po’, ci faccio un giro.
Qualche volta capita che voglio qualcosa di più, voglio andare fino in fondo, fino ad arrivare al vuoto, al niente, al nessuno, dove non ci sono più sensazioni, emozioni, pensieri, niente, lì dove non c’è nemmeno il pensiero “io”, capisci, e finalmente posso essere chiunque, quella che sta attraversando la strada, laggiù, la vedi, o, perché no, anche te. Sì, te. Ecco chi sono io.

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